mercoledì 25 aprile 2012

Alfredo Di Stefano...la Saeta Rubia



I geni del calcio, coloro che hanno saputo cambiare il gioco anticipando i tempi, sono veramente pochi, si possono contare sulle dita di una mano. Sono diversi dai "comuni" campioni, giocatori straordinari che si sono espressi al massimo nel tipo di gioco a disposizione. I geni inventano, creano, plasmano, prendono il calcio e lo migliorano portandolo ad un livello successivo. Alfredo Di Stefano è stato da giocatore un genio, colui che a cavallo degli anni '50 e della prima metà dei '60 ha mostrato al mondo quale sarebbe stato il futuro del gioco senza mai estraniarsi dalla sua epoca, anzi, integrandosi alla perfezione nel sistema di gioco di quegli anni. Ha preso una squadra imbattibile come il Real Madrid del Presidente Bernabeu e l'ha fatta diventare "Galactica", segnando in maniera indelebile la storia del calcio e della più grande competizione per club al mondo, la Coppa dei Campioni.

Alfredo Di Stefano nasce a Barracas, un barrio (quartiere) di Buenos Aires, il 4 luglio 1926. Figlio di un argentino di seconda generazione con sangue italiano, di Capri per la precisione, e di una ragazza con origini francesi, inizia a giocare, a conoscere, il pallone "en la calle" come tutti i bambini di quell'epoca e non solo. I primi calci li tira a delle pezze vecchie cucite insieme per dargli una parvenza di rotondità, scoprendo così di avere una predispozione a quel gioco, gli riesce facile calciare quelle pezze. Crescendo passa sempre più tempo per strada a giocare partite organizzate al momento e alla buona, fino a quando all'età di quindici anni entra nelle giovanili del miglior club argentino dell'epoca: il River Plate.
Inizia a giocare nella squadra riserve dei Milionarios mostrando sempre di più la sua classe cristallina, ma non facendo ancora abbastanza per convincere l'allenatore a farlo debuttare nel campionato Nazionale, chiuso anche da Adolfo Pedernera, autentico idolo della tifoseria che giocava nella stessa posizione, o meglio nello stesso ruolo. Viene mandato nel 1946 in prestito all'Huracan, dove il ventenne e maturo Di Stefano mostra a tutta l'Argentina il suo gioco. Da li è partita la sua rivoluzione, non si era mai visto prima di allora un centravanti che riempiva tutto il campo. Un giocatore completo che giocava un calcio totale. Lo si vedeva recuperare palla in difesa, alcune volte persino nella sua stessa area, e impostare il gioco; tagliava in diagonale tutto il campo per smarcarsi, affondava tackle e soprattutto correva, correva e correva. Per l'epoca infatti era velocissimo, veniva chiamato "La Saeta Rubia", il fulmine biondo, veloce tanto quanto resistente.
Queste erano le basi del suo gioco: una grande, per non dire perfetta, condizione fisica, grande visione e capacità di capire il gioco, ed un tiro in corsa indifferentemente col destro o con il sinistro a dir poco letale. Segna dieci gol con la maglia dell'Huracan in venticinque partite di campionato.
Nel frattempo le cose stanno cambiando al River, sulla panchina arriva Pepe Monella ed inoltre l'intoccabile Pedernera inizia a sentire l'avanzare dell'età. L'esplosione in maglia Huracan del giovane Di Stefano convince allenatore e società a dare il ben servito alla vecchia gloria Pedernera per affidargli, a soli ventun'anni, le chiavi dell'attacco dei Milionarios.
Quel River è diventato cosi un'autentica macchina da gol, accanto a Di Stefano giocano talenti come Moreno, tutto estro e fantasia, e Labruna l'unico capace di tiri più potenti dello stesso Di Stefano. Con quei tre davanti il River vince il campionato del 1945 e si ripete nel 1947 conquistando anche il titolo di capocannoniere con ventisette marcature. In quell'anno arriva anche la chiamata da parte della Nazionale argentina con la quale vince la Coppa America realizzando cinque gol in sette partite. Nel 1948 prende parte alla Coppa dei Campioni del Sudamerica, dalla quale in seguito nascerà la Coppa Libertadores, dove l'attaccante mette a segno quattro gol in sei partite. Di Stefano si trova bene nel River, gioca bene insieme a dei compagni eccellenti, ma vorrebbe guadagnare di più per soddisfare i suoi vizi, in fondo più avanti passerà alla storia anche per le sue doti di latin lover oltre a quelle da calciatore. Nel 1949 molti giocatori decidono di entrare in sciopero per le riforme volute dal Presidente militare Juan Peron, e Di Stefano venuto a sapere che in Colombia avrebbe potuto guadgnare cifre di molto superiori a quelle percepite al River decide di imbarcarsi su un aereo notturno con destinazione Bogotà.

In quegli anni la Colombia stava vivendo un periodo d'oro nel calcio, non a caso nominato "El Dorado". Le società avevano molti liquidi a disposizione ed hanno iniziato a prendere giocatori da Argentina, Uruguay, Brasile e persino dall'Europa. Molti arrivavano a fine carriera per alzare il livello del campionato e soprattutto per i grossi guadagni, ma Di Stefano arriva ai Millonarios di Bogotà a soli ventitre anni. In Colombia Di Stefano esagera, esagera con le donne, esagera con il buon cibo e soprattutto esagera con i gol ed i trofei. Vince per tre volte il Campionato colombiano conquistando per due volte il titolo di capocannoniere realizzando 139 gol in 142 partite di campionato giocate.

Nel 1953 il ventisettenne Di Stefano si appresta a lasciare la Colombia per approdare ad una società europea. Per casualità la Roma avrebbe la possibilità di ingaggiare l'attaccante, ma dopo un vertice societario decidono di lasciar perdere per puntare un giocatore più giovane. Arriva il turno del Barcellona che pare seriamente intenzionata ad ingaggiare il talento argentino, ma quando ormai sembra tutto fatto scende in campo il Real Madrid che brucia la concorrenza catalana ed ingaggia l'attaccante. Gira un teoria su questa vicenda, molto concreta, che dimostrerebbe l'intervento diretto di Francisco Franco in favore del Real Madrid. Il giocatore aveva praticamente firmato con il Barca ma una telefonata del "Generalìsimo" avrebbe bloccato la trattativa. Il Real dal suo canto voleva fortemente Di Stefano ma non a questo prezzo, quindi dati storici affermerebbero che i Blancos sarebbero stati pronti a spartirselo con i catalani facendolo giocare una stagione a squadra. La società blaugrana non disposta a scendere a patti avrebbe lasciato perdere tutta la vicenda e così l'argentino avrebbe vestito solo la camiseta blanca. Tutta questa storia sa di verità e leggenda allo stesso tempo e come per molte vicende simili è plausibile che la verità stia nel mezzo, fattostà che l'arrivo di Di Stefano a Madrid ha di fatto cambiato la storia del calcio spagnolo ed europeo.

Basterebbero i numeri per raccontare la carriera europea del grande attaccante argentino, ma in qualche modo sarebbe riduttivo. Accanto a grandissimi giocatori come: Marquitos, Zarraga, Marsal, Munoz, Rial, Kopa, Mateos e la grande ala Gento infrange tutti i record e tutte le barriere del calcio.
Al suo arrivo, all'inizio del 1953, il Real Madrid non vince il campionato da ben vent'anni, ma già dalla prima stagione centra l'obbiettivo primario. Si ripete la stagione successiva nell'importante annata 1954/1955 la cui vittoria finale vale la partecipazione alla prima storica Coppa dei Campioni. Nella prima partita della neonata competizione i Campioni di Spagna battono sia all'andata che al ritorno gli svizzeri del Servette. Ai quarti di finale battono con grande difficoltà il Partizan Belgrado perdendo 3-0 la partita di ritorno dopo aver vinto per 4-0 l'andata. In semifinale sconfiggono il Milan grazie al 4-2 casalingo ed approdano cosi alla prima finale dove incontrano i francesi dello Stade Reims allo stadio parigino del Parco dei Principi. Una vera finale d'altri tempi vede i francesi in vantaggio per 2-0 dopo soli dieci minuti. Serve un gol di Di Stefano al quarto d'oro a dare la carica ai blancos per la vittoria finale. Pareggio di Rial alla mezzora, nuovo vantaggio francese al sessantaduesimo, ennesimo pareggio madridista di Marquitos e gol vittoria di Rial. Partita finita 4-3 con Di Stefano che trascina i suoi ad una vittoria incredibile.
La vittoria vale la riconferma alla Coppa dei Campioni dell'anno successivo nonostante la mancata vittoria in Campionato. Ancora una volta i blancos riescono a liberarsi di tutte le squadre dagli ottavi in poi arrivando a vincere la finalissima contro la fiorentina. Quella stessa stagione vincono anche il Campionato realizzando cosi la prima doppietta storica Campionato/Coppa.
Di Stefano segna anche nella finale vinta in casa, al Santiago Bernabeu, davanti a più di centoventimila spettatori. E non si ferma li, perchè la storia del Real e quella di Di Stefano sono legate da un filo indissolubile, ogni vittoria finale porta la sua firma. Il Real conquista le prime cinque Coppe dei Campioni della storia, ed ogni finale porta la firma dell'attaccante argentino che realizza cosi un altro incredibile record.

Gli anni passano per Di Stefano ma lui sembra non accorgersene. Sembra lo stesso non fosse per la sua bionda chioma che si sta diradando sempre di più. Eppure in campo è sempre lo stesso, è sempre la Saeta Rubia che fa reparto quasi da solo e che all'occorrenza va a dirigere a centrocampo o a marcare in difesa. Grazie a lui ed ai suoi 332 gol in 372 partite il Real Madrid conquista 5 Coppe dei Campioni, 8 Campionati spagnoli, 1 Coppa di Spagna, 2 Coppe Latina ed una Coppa Intercontinentale. Inoltre dal punto di vista personale vince per 5 volte il trofeo "Pichichi" assegnato al capocannoniere della Liga, conquista per 2 volte la classifica marcatori della Coppa dei Campioni e nel 1957 e nel 1959 la rivista France Football gli assegna il Pallone d'Oro, premio riservato al miglior giocatore europeo che lui in quanto argentino non avrebbe potuto vincere, non fosse che nel 1956 ha acquisito la cittadinanza spagnola giocando anche 31 partite con la maglia delle furie rosse. In precedenza aveva vestito la maglia dell'Argentina vincendo la Coppa America 1947 ed addirittura ha indossato per quattro partite la maglia della Colombia "grazie" ad una controversia tra la federazione colombiana e la FIFA che ha portato l'esclusione della Nazionale colombiana dalle manifestazioni internazionali per diversi anni.

Dopo ben undici anni Di Stefano lascia il Real Madrid per giocare le ultime due stagioni della sua carriera con l'Espanyol, arrivando così effettivamente in Catalogna. All'epoca aveva ormai quarant'anni ed il calcio stava iniziando a cambiare, eppure era ancora la Saeta Rubia capace di entusiasmare le folle grazie alla dedizione all'allenamento che lo ha accompagnato per tutta la carriera. Nonostante tutto però il suo nome resterà per sempre legato al Real Madrid che lo ha nominato Presidente Onorario nel 2001 ed inoltre gli ha dedicato lo stadio del Castilla, ovvero la formazione riserve dei Blancos.

 Di Stefano verrà sempre ricordato per aver rivoluzionato il gioco.
Un calciatore moderno, mobile, dedito all'allenamento in un'epoca di ruoli fissi e statici. Un attaccante che impostava, si allargava e all'occorrenza difendeva. Un calciatore totale ben prima dell'Olanda di Cruijff. Oggi il grande Di Stefano è prossimo agli ottantasei anni, eppure a Madrid di generazione in generazione vengono raccontate le grandi imprese della Saeta Rubia così che anche i giovani conoscano la grande leggenda dell'attaccante argentino definito a detta di molti uno dei più grandi calciatori di sempre, un uomo che conosceva i suoi limiti e si spaccava la schiena per superarli. Semplicemente Alfredo Di Stefano.

«Per diventare bravi giocatori occorre pensare giorno e notte al pallone. I giovani che vogliono fare solo quattrini senza fatica o svolgere altri mestieri, anche soltanto per distrarsi, mentre giocano da professionisti, sbagliano, perché infallibilmente toglieranno, anche senza accorgersene, tempo prezioso al loro mestiere. Io non sono mai stato molto disciplinato nella vita privata, ho bevuto botti di vino e ho mangiato quintali di pesce fritto, ma tutto questo mi serviva per stordirmi e non pensare ad altro. E dormire. Ma in sostanza io mi sono mortificato in campo in allenamenti durissimi, mentre nei giovani d'oggi c'è la tendenza ad allenarsi poco e a non saper soffrire. Gli allenamenti duri, massacranti, estenuanti, sono indispensabili ad un campione, formano il campione. A me hanno dato l'ossatura. Il campione deve essere ambizioso ogni giorno di più, ogni giorno più ambizioso del giorno prima».     Alfredo Di Stefano
  

                     



                       

2 commenti:

  1. Non l'ho visto giocare perché solo dopo il suo ritiro sono poi venuto al mondo... si dice che sia stato il giocatore più completo della storia del calcio.

    RispondiElimina
  2. Non ho mai avuto il piacere di leggere la sua storia e vedere suoi video,sono rimasto stupito dalla genialità che adoperava perchè se oggi ci sembra scontato fare un colpo di tacco o addirittura cambiare passo con la finta di dribbling all'epoca era un'assoluta novità calcistica. IN QUESTI PARTICOLARI SI VEDE LA GENIALITA' DI UN GIOCATORE che,inoltre,ha creato il ruolo di 'attaccante moderno' capace di aiutare la squadra in fase di copertura e fare tanti gol, DEVE SERVIRE DA ESEMPIO A TUTTI COLORO CHE VOGLIONO GIOCARE DAVVERO A CALCIO!

    RispondiElimina


Le scommesse sportive in Italia sono un fenomeno sempre più diffuso tra gli appassionati di sport


Punta sull'Udinese di Pawlowski su Bwin