mercoledì 13 aprile 2011

Giocare con la Tourette


Tim Howard, professione portiere, può vantare un curriculum di tutto rispetto: debutta in MLS a 19 anni e vince per due stagione il premio come miglior giocatore del campionato, nel 2003 il Manchester United compra il suo cartellino per 3,3 milioni di euro, dal 2006 gioca all'Everton, inoltre vanta 57 presenze con la maglia degli Stati Uniti. Nel suo palmares ci sono: 1 Communuty Shield, 1 FA Cup, 1 Carling Cup e 1 Gold Cup Concacaf vinta nel 2007.
Sicuramente una bella carriera che lo ha portato ad essere tra le altre cose il giocatore statunitense con il contratto più alto, ma c'è una cosa che lo caratterizza più di tutte, è affetto dalla sindrome di tourette.

Cos'é la sindrome di tourette?
Come si può leggere su wikipedia è: "un disordine neurologico ad esordio nell'infanzia, caratterizzato dalla presenza di tic motori e fonatori incostanti, talvolta fugaci, altre volte cronici, la cui gravità può variare da estremamente lievi a invalidanti". In poche parole è una malattia del sistema nervoso, incontrollabile, che si manifesta con evidenti tic del corpo fino ad arrivare a dire parole volgari senza ragione o addirittura aggredire altre persone.
Nel caso di Howard la malattia è più controllabile, nel suo caso sono presenti solo tic facciali, ma a parte questo la sua condotta è del tutto normale.
La cosa curiosa è che la sindrome di tourette tende ad aggravarsi durante situazioni di forte stress (come può esserlo una partita giocata davanti a 50000 persone), eppure il portiere statunitense riesce a controllarsi in questo frangente, la sua capacità di concentrazione è talmente alta che durante la partita non si nota alcun segno caratteristico della sua malattia, nonostante il forte stress a cui è sottoposto. Come afferma lui stesso: "A me non piace la partita. Perché durante i novanta minuti non mi capita mai di divertirmi. Finché c’è tempo, c’è pericolo. E al terzo fischio dell’arbitro sono esausto, fisicamente e mentalmente. Mi siedo nello spogliatoio, finalmente il pericolo è cessato".

Eppure non è sempre stato cosi semplice per lui, la malattia gli è stata diagnosticata all'età di 8 anni, come è giusto che sia ha condotto una vita quanto più normale possibile. Da piccolo ha imparato come gestire la pressione e il suo problema allo stesso tempo: "Quando avevo all’incirca nove anni, mi ricordo che a volte in porta piangevo. Allora mia mamma si avvicinava il più possibile alla porta e mi diceva che andava tutto bene. Ci sono momenti anche oggi in cui in stadi con 50.0000 persone ricerco quell’immagine".

Durante la crescita ha passato il periodo peggiore, quando il disturbo si è fatto più acuto: "Il momento peggiore l’ ho passato durante la pubertà. Anche perché soffrivo pure di disturbo ossessivo: contavo i passi nella mia mente, toccavo oggetti senza alcun senso logico, facevo cose strane. Crescendo, la malattia riduce la propria portata, ora non è più un problema".
Questa è una cosa normale, crescendo il corpo si abitua a convivere con la sindrome di tourette, nella maggior parte dei casi, oggi Howard conduce una vita normalissima, convive con la malattia ma per lui non è un problema: "E’ il mio essere, sono pieno di adrenalina. Se domani mi svegliassi senza la mia sindrome di Tourette, non saprei cosa fare". Come affermano vari esperti in materia la sindrome di tourette è più che possibile che abbia dato una mano al portiere, rendendolo più reattivo. Gli affetti dalla sindrome sono molto più attenti, possono percepire cose che gli altri non notano e addirittura capire qualcosa prima che accada, questo sicuramente sarebbe un grande aiuto per un portiere.

Eppure in Inghilterra non lo accolsero di certo bene, alcuni tabloid inglesi lo definirono un "ritardato" o un "handicappato", con un savoir-fare di certo non invidiabile, sicuramente dettato più dall'ignoranza che da altro. Al giorno d'oggi continuano, non c'è errore commesso da Howard che non passi inosservato, che non diventi subito oggetto di critiche spietate e ingrate, eppure lui continua con il suo lavoro. Sicuramente alcuni "giornalisti" avrebbero di che imparare dalla professionalità del portiere originario del New Jersey.

Howard dimostra che il calcio va oltre malattie o condizioni sociali, chiunque affetto da disturbi più o meno gravi può praticare il gioco più bello del mondo. Se non siete sicuri chiedete a Paul Scholes, 661 partite in maglia Red Devils e affetto da asma cronico.

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